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Mimetismo disastroso e altri atti di sabotaggio

Mimetismo disastroso e altri atti di sabotaggio
Photo by Tangerine Newt / Unsplash

È molto probabile che la mia passione per l’ordine, i piani in anticipo e le tabelle compilate a modino abbia a che fare con l’autismo. Non a caso, una delle prime cose che ho fatto in fase di progettazione di questa newsletter è stata mettere a punto un piano editoriale: date di uscita, argomenti prestabiliti, annotazioni, link con risorse e fonti varie. Tutto organizzato e catalogato con colori diversi per riga e colonna, ovviamente. Che soddisfazione.

Stando alla mia tabella di marcia, oggi avrei dovuto parlare di diagnosi. Nel fine settimana sono però successe un po’ di cose su cui penso valga la pena soffermarsi. Un po’ per me, per elaborare il tutto – perché in fondo questa newsletter mi serve anche per dare forma e senso alle mie traiettorie quotidiane, talvolta incasinate. Ma soprattutto per condividere riflessioni che spero possano essere utili a qualcun altrә là fuori, per sentirsi un po’ meno solә in questo mondo neurotipico.

Di ricorrenze importanti, attivismo e amicә

Lo scorso fine settimana è stato impegnativo per me. Nella città in cui vivo (che non è Roma, e non è nemmeno in Italia, tranquillә), sabato è stato il giorno del Pride. Quest’anno, data l’ostilità sempre più deliberata nei confronti della comunità queer, partecipare mi sembrava particolarmente urgente. In più, io e la mia bandiera palestinese sentivamo la necessità di sottolineare, ancora una volta, che there’s no Pride in genocide.

Subito dopo la marcia, avevo in programma un altro evento dedicato alla Palestina. La serata prevedeva musica dal vivo, con una mia carissima amica nella line-up. Saltarlo era quindi fuori discussione.

Da che ho scoperto di essere autistica, sto lavorando molto sulla gestione dei miei livelli di energia quando si tratta di attività ad alta interazione sociale, soprattutto se in ambienti rumorosi. Prima di prendere consapevolezza della struttura “atipica” del mio cervello, riconducevo la mia scarsissima resistenza in situazioni di questo tipo all’essere introversa. E mi incolpavo costantemente per non essere in grado di “fare cose normali e divertirmi come tuttә lә altrә”. Non avevo idea ci fosse una spiegazione ben precisa.

In passato, lo spettro autistico era visivamente rappresentato come una linea retta, con le etichette “alto funzionamento” e “basso funzionamento” ai due estremi. Si tratta di una categorizzazione arbitraria ed estremamente patologizzante – alto e basso funzionamento in base a cosa? Ai parametri produttivi capitalisti e abilisti neurotipici? –, che crea un’immagine angusta e stereotipata dell’esperienza autistica. Le mille sfumature che trovano spazio nella realtà del vissuto quotidiano vengono cancellate con un colpo di spugna, e rimpiazzate dai due archetipi autistici: il genio eccentrico o il disabile non verbale. E ho utilizzato il maschile di proposito.

Fortunatamente, negli ultimi anni la linea retta è stata rimpiazzata da una rappresentazione circolare, una sorta di diagramma a torta in cui ciascuna sezione rappresenta aree in cui la persona autistica può riscontrare più o meno difficoltà. È una soluzione che rispecchia in maniera decisamente più accurata la sconfinata varietà di combinazioni dell’esperienza autistica, permettendo di individuare non solo punti di tensione, ma anche punti di forza.

Credit: A Heart For All Students

Non ho ancora elaborato una mia personale versione del diagramma, ma so di per certo di avere moderate difficoltà nelle interazioni sociali e nella gestione degli stimoli sonori. Me la cavo abbastanza bene quando interagisco con una persona alla volta, anche se sconosciuta, o all’interno di piccoli gruppi. In contesti affollati, o in un grande gruppo in cui si chiacchiera e si balla e si festeggia, divento invece un pezzo di legno impregnato d’ansia. Non ho mai capito, e mai capirò, come funziona. Non so assolutamente cosa fare, cosa dire, come comportarmi. Anche trovare un posto nello spazio diventa un problema. Se a questo bel quadretto aggiungiamo un certo grado di decibel, il mio cervello si accartoccia nel giro di poco. Per qualche ragione, sono sempre stata una bestia da concerti. Ma se il contesto è un altro, i rumori forti – e, in particolare, il vociare costante e disordinato di una grande folla – mi disturbano non poco.

E quindi eccoci a sabato. Ero perfettamente consapevole che sarebbe stata dura per me. Ma non volevo venire meno alle mie responsabilità, né in quanto attivista né tantomeno da amica. Con parecchia ginnastica mentale, un po’ di riposo preventivo e i miei tappi cancella rumore salvavita, mi sono buttata.

Senso di colpa & Co.

Ovviamente la crisi è arrivata, come da pronostico. Partecipare al Pride circondata dall’affetto dellә miә amicә, sventolando una bandiera palestinese, mi ha riempita di gioia. Ma dopo tre lunghe ore in mezzo ad una folla sudata e rumorosa, i miei nervi erano a pezzi. Nel tragitto a piedi verso il luogo dell’evento in cui la mia amica si sarebbe esibita, ho avuto un piccolo crollo. Mi sono dovuta sedere sul marciapiede per un po’ per calmarmi. Ero esausta, la mente completamente annebbiata, incapace di mettere in fila mezzo pensiero o anche solo di scegliere che strada imboccare.

Una volta arrivata all’evento, sebbene il picco della crisi fosse più o meno superato, ero ormai in uno stato di shutdown da sovrastimolazione sensoriale: disconnessa dall’ambiente circostante e molto poco propensa all’interazione. Accasciata in un angolo, cercavo di raccogliere quel minimo di energia necessaria quantomeno per godermi l’esibizione della mia amica. A più riprese, durante la serata sono stata avvicinata da persone preoccupate che mi chiedevano se fossi arrabbiata o triste. Avrei tanto voluto avere appiccicato in fronte un adesivo con sopra scritto AUTISTICA, forse mi avrebbe evitato i sorrisi forzati di rassicurazione. Al termine dell’esibizione, ho abbracciato la mia amica e sono praticamente fuggita via.

Il giorno dopo è stato complicato. Ho passato la maggior parte del tempo a letto, sonnecchiando. Oltre ai giramenti di testa, alla mente annebbiata e all’umore ballerino, anche il corpo non rispondeva affatto. Sono riuscita a trascinarmi in cucina per mangiare qualcosa solo in tarda serata, e ho dovuto saltare una marcia per la Palestina a cui tenevo particolarmente.

Sto scrivendo queste righe di lunedì sera. Sto decisamente meglio di ieri, ma sono ancora in fase di ripresa. Nell’arco di questi giorni, mi sono domandata più volte come sarebbe la mia vita se non fossi neurodivergente. Forse mi sarei divertita senza pensieri al Pride. Forse avrei avuto abbastanza energia per andare all’evento dedicato alla Palestina e gioire insieme alla mia amica per la sua splendida esibizione. Forse il giorno dopo sarei andata alla marcia, più rinvigorita e determinata che mai.

Non lo posso sapere, ma sono pensieri che spesso si insinuano nelle pieghe delle mie giornate più stanche. Mi chiedo se sono abbastanza come amica, come attivista, come persona. Mi chiedo se queste continue battute d’arresto siano ostacoli insormontabili lungo il cammino verso l'essere umano che voglio diventare. A volte mi sento come se ci fosse un abisso inattraversabile fra il mio mondo interiore – ciò che sento, ciò in cui credo, i miei valori, il modo in cui percepisco me stessa e ciò che mi circonda – e l’esterno. Come se non fossi capace di tradurre in maniera intelleggibile chi sono e cosa voglio veramente.

In "Autistiche. Donne nello spettro", Clara Tornvall scrive:

Le persone con autismo fanno affidamento su se stesse e sono molto resistenti al pensiero di gruppo. Al contrario, spesso sembra loro incomprensibile come i neurotipici possano essere così preoccupati di ciò che gli altri pensano di loro. Spesso hanno un forte senso della giustizia. La testardaggine e la capacità di concentrarsi su un interesse particolare implica che non si arrendono mai. E queste sono ottime qualità in un attivista.

Ultimamente torno spesso su questa citazione, specialmente quando ho la sensazione che i miei numerosi incidenti di percorso mi impediscano di essere all’altezza. Mi aiuta a ricordare che, in fondo, l’unicità del mio cervello gioca un ruolo fondamentale nel rendermi la persona che sono. E che certe difficoltà sono amplificate – se non completamente create dal nulla – da una struttura sociale che misura il nostro valore secondo standard di conformità e produttività ininterrotta.

Piccoli atti rivoluzionari

Siamo tuttә sottopostә all’insostenibile giogo della performance. In qualsiasi campo della vita, l’imperativo è essere splendenti e sorridenti, sempre. Fare buon viso a cattivo gioco. Non fermarsi mai, essere sempre prontә e proattivә. Anche nelle relazioni, siamo spesso indottә a credere che la quantità debba avere la meglio sulla qualità. Iperconnessione e contatti costanti sono i parametri che ci qualificano come persone “normali”, adatte alla socialità moderna. Non essere in grado di stare al passo con questi requisiti spesso causa un costante senso di inadeguatezza, portando a stati generalizzati di ansia e depressione. Parlo per esperienza personale.

Più imparo a conoscere e ad accettare il mio autismo, più ne intravedo il potenziale sovversivo. Non voglio romanticizzare nulla: essere neurodivergente può essere davvero una gran fatica. Nel rispetto dei limiti e delle esperienze di ciascunә di noi, vorrei però invitarci a guardare le cose da una prospettiva diversa.

In un mondo che va tropo veloce, noi chiediamo di rallentare. In un mondo che ci vuole sempre connessә, noi proviamo a staccare la spina. In un mondo troppo rumoroso, noi chiediamo di abbassare il volume. È un costante allenamento a reclamare il nostro spazio. Un esercizio quotidiano di sabotaggio, che rifiuta e ribalta le regole prestabilite dalla maggioranza.

Mi piace immaginare il mio autismo come un piede di porco che scardina i lucchetti del sistema in cui viviamo, mettendone in discussione le stesse fondamenta. Forse siamo proprio noi neurodivergenti una possibile chiave di volta del cambiamento. Se cominciassimo ad occupare tutto lo spazio che ci spetta, a modo nostro e senza troppi compromessi, forse il mondo sarebbe costretto ad adattarsi alla nostra lentezza, ai nostri bisogni diversificati, ai nostri schemi di pensiero a zig-zag. Forse comincerebbe a somigliare ad un posto più vivibile. Un posto migliore, non solo per noi ma anche per tuttә lә altrә, in cui mentire alla domanda “come stai?” con un sorriso tirato non è più d’obbligo.

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Consigli di lettura
Clara Tornvall – Autistiche. Donne nello spettro
Clara Tornvall è una giornalista culturale e produttrice svedese. In questo libro, racconta la sua esperienza di persona autistica con una diagnosi ricevuta all’età di quarantadue anni. Unendo il racconto intimo e personale con interviste ad altre donne autistiche e degli intermezzi centrati su dati e ricostruzioni storiche, Tornvall intesse una narrazione che finalmente vira con decisione dal classico stereotipo che ancora circonda l’autismo. È un libro pieno di spunti di riflessione, che mi ha tenuto compagnia e mi ha offerto conforto nei giorni più complicati.

Grazie per essere statә con me fino a qui. Se ti va, puoi condividere le tue riflessioni rispondendo a questa mail o lasciando un commento.

Ci si legge presto,

Camilla


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