Sommersә, un manifesto

Mi chiamo Camilla, e ho passato la vita a sentirmi fuori posto e fuori tempo. Troppo sensibile, troppo introversa, troppo testarda, troppo instabile, troppo impulsiva. Tutte etichette che mi sono state incollate in fronte senza possibilità di replica, o che nel corso del tempo mi sono data da sola analizzando minuziosamente il mio modo di stare al mondo. Etichette che ho internalizzato a tal punto da arrivare a pensare che io, in fin dei conti, non sono capace.
Per anni mi sono affannata nel cercare una spiegazione ai miei crolli emotivi ciclici, a volte improvvisi e apparentemente immotivati, alla stanchezza cronica, alla difficoltà nel mantenere un lavoro a tempo pieno o a stare al passo con una socialità per me dai ritmi insostenibili. Ho incrociato ogni possibile diagnosi immaginabile – ansia, depressione, burnout, disturbi dell’umore –, eccetto una: quella che poi si è rivelata essere la chiave di lettura che da sempre cercavo, la sottile linea con cui finalmente unire tutti i puntini.
Non avevo mai nemmeno contemplato l’idea di poter essere nello spettro autistico. D’altra parte, anche io sono cresciuta immersa in una narrazione monocromatica che racconta l’autismo in maniera stereotipata, priva di sfumature, strettamente infantilizzante e patologizzante. Una narrazione che cancella il vissuto di donne, persone queer, persone non binarie, persone non bianche, ma anche di quella parte di popolazione maschile che non rientra in parametri clinici troppo angusti e standardizzati. Una narrazione che ci rende invisibili, anche e soprattutto ai radar della psichiatria, precludendoci la possibilità di capire e capirci meglio.
E così, per ragioni di sopravvivenza, impariamo a mascherare. Ad adattarci, a dissociarci. Troviamo un modo per stare a galla, annaspando in silenzio. Ma le domande restano, e la stanchezza continua ad accumularsi giorno dopo giorno.
Dopo aver incrociato per caso una descrizione “inusuale” di autismo che delineava l’esperienza di una donna diagnosticata in età adulta, ho avuto la sensazione di essere incappata in una torcia abbandonata sul pavimento di una stanza completamente buia. Più cercavo informazioni, più ascoltavo esperienze e vissuti di persone autistiche diagnosticate tardivamente, più il fascio di luce si allargava.
Dopo mesi di ricerche, ho deciso di intraprendere un percorso di diagnosi. È stato un ritorno alla realtà particolarmente violento, un po’ come sbattere la faccia contro un muro e rompersi il naso. Ho capito che la diagnosi, per come è pensata oggi, è un privilegio per pochә: costa molto, ed è operata da professionistə che raramente hanno una formazione specifica ed aggiornata sull’autismo nelle persone adulte, specialmente se AFAB (assigned female at birth, assegnate femmine alla nascita), queer, non binarie, non bianche. Soprattutto, è ancorata ad un paradigma patologizzante, in base al quale veniamo percepitə come eccezioni difettosa che deviano dalla regola generale.
Questa newsletter nasce da lì. Dalla solitudine, dalla rabbia, dalla stanchezza e dalla voglia di non dover più trattenere il fiato ogni giorno. Sommersә è il mio modo per tornare a galla, ma anche un invito a farlo insieme.
Ogni quindici giorni condividerò riflessioni, esperienze e analisi sull’autismo in età adulta. Partirò sempre dal mio vissuto, ma con l’obiettivo di guardare ben oltre ed estendere il discorso al vero nocciolo della questione: le strutture sociali ed economiche che ci disabilitano. Parleremo di lavoro, masking, burnout, relazioni. Ma anche di cultura neurotipica, di paradigmi da scardinare, di linguaggi – forse ancora tutti da inventare, collettivamente – per descriverci. Ci saranno anche consigli di lettura e di ascolto, interviste, risorse utili. Perché l’informazione è potere, e la conoscenza condivisa è cura.
Questa non sarà una newsletter neutra. Sarà politica, ricca di domande e altrettanto ricca di spunti di riflessione per immaginare insieme una realtà a misura di tuttә. Una realtà in cui sia possibile smettere di edulcorare e giustificare la nostra esistenza e, semplicemente, reclamare il diritto sacrosanto a stare al mondo così come siamo.
Benvenutə in Sommersә. Qui nessunə è troppo.
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